Pensiero Teologico

F. Nardin, introduzione alla “Conoscenza del Cuore”, in ZENIT, Roma 2013

Il contributo della spiritualità orientale- russa alla Chiesa che “respira a due polmoni”




Introduzione alla “conoscenza del cuore”

(La vita nello Spirito nei pensatori orientali-russi e nei Padri della Chiesa)

Don Franco Nardin

In una parola il “cuore” è l’integrità di tutte le facoltà dell’uomo, è l’uomo intero. Davanti a questa definizione i teologi occidentali a volte rimangono perplessi accusandola di irrazionalismo e sentimentalismo. Secondo Teofane il Recluso al contrario, nella preghiera sono inseriti tutti gli elementi della persona: corpo, sensi, volontà, intelletto, sentimento e, soprattutto, lo Spirito Santo. L’altro «dinamico», ossia l’unità della persona nel corso della vita. Cosa sono io? Cosa penso oggi? La preghiera è in questo senso una disposizione stabile.

Durante la preghiera, afferma Teofane, bisogna “scendere” dalla testa al cuore, perché, come spiega anche Ignazio di Loyola, «non è l’abbondanza della scienza che soddisfa l’anima, ma “sentire e gustare” interiormente le cose»[1].

La preghiera esige come condizione uno stato tranquillo del cuore, una Heychia, una pace interiore. Come fare per avere tale pace? Nell’abbandonare i pensieri che vengono dal male e turbano l’animo umano. C’è una distinzione tra «pensiero semplice» e «pensiero appassionato». Si suppone che l’uomo, la cui mente è immagine di Dio, possa pensare a tutto ciò che esiste, dio, donne, sesso ecc. Non è forse tutto ciò da Dio creato come rivelazione della sua saggezza?.   Purtroppo raramente questi pensieri rimangono «puri». Ad essi si aggiunge una tendenza viziata. All’ora l’uomo spirituale (termine già usato da Ireneo di Lione), deve conoscere l’arte del sapere “separare”, liberare il pensiero dalla passione, affinché la mente sia pura. Bisogna impiegare tutto lo zelo per acquisire la pace necessaria alla preghiera.

«I puri di cuore sono coloro che disprezzano le cose terrene e cercano le celesti non cessando mai di adorare e “vedere” il Signore Dio con cuore e animo puro»[2].

Fino d ora si è avuta attenzione al cuore in “senso negativo”, in quanto si è posto l’accento su ciò che turba lo stato di pace e di purezza del cuore. Ora si deve passare ad un altro punto di vista: l’attenzione positiva, cioè ai pensieri che non turbano, ma escono dal cuore stesso.

Per questo si distinguono i  pensieri che vengono «dal di fuori», che hanno una causa esteriore: un oggetto visto, un racconto udito, un brano letto, e i pensieri che vengono «dal di dentro», dal nostro interno. E’ lo Spirito Santo che, vivendo nel cuore, fa sentire la sua voce dentro il «castello interiore» del nostro «io». Lo Spirito Santo non è qualcosa che viene dall’esterno.

La malizia ha origine sempre dal d fuori, lo Spirito Santo, al contrario, fa parte della nostra «natura» poiché è l’anima della nostra anima. Lo Spirito Santo “parla” dentro il cuore e l’uomo lo ascolta con il cuore. E come lo ascolta? Il cuore «sente», afferra l’ispirazione divina per mezzo di una intuizione globale, alla quale partecipano tutte le facoltà umane. Le suggestioni dello Spirito non distruggono la libertà umana e sono interiori dato che siamo in «un solo spirito con il Signore»[3]. E’ proprio di Dio dare «consolazione» all’anima senza causa precedente. E’ proprio di Dio “entrare, uscire, provocare emozioni”, attirandola tutta nel suo amore[4]

Lo Spirito si fa “sentire” nel cuore e nella preghiera. Va riversato il sentimento, “l’intuizione del cuore”.

S. Francesco aveva spesso tali “intuizioni”, tanto che quando camminava con gli altri, lasciava che andassero avanti per ascoltare la “voce” del Signore, mettendo una mano sul cuore. Bisogna rinunciare a tutte le immagini create e contemplare la pura luce divina. Si esegue così la preghiera in «assoluto silenzio». Importante in tale senso sono le estasi di S. Francesco. Erano così intense che spesso perdeva conoscenza e se a volte si distraeva andava a confessarsi pregava infatti in segreto, una “preghiera del silenzio”.

Quindi per “conoscere l’uomo” concretamente bisogna considerare il suo cuore, poiché l’uomo è, in realtà, ciò che è il suo cuore.

Coltivare il cuore è dunque prioritario per la “vita spirituale”. Nel cuore si concentra tutta l’attività spirituale dell’uomo: le verità vi pongono il loro sigillo, le buone disposizioni vi si radicano, mentre l’opera propria del cuore è di dare il “gusto” di rendere amabili.  Quando la “ragione contempla” l’universo spirituale e le sue diversi parti, o quando la volontà è attirata dalle azioni pie che la  sollecitano, il cuore deve prima di tutto provare “dolcezza e comunicare calore”. Questo “sentimento di dolcezza” in presenza dello spirituale è il primo segno del ravvivamento dell’anima morta nel peccato. Questo perché la formazione del cuore è di grande importanza sin dall’inizio”[5].

Il cuore, dunque, testimonia ciò che noi siamo in verità, poiché l’uomo non è solo corpo e anima, egli è anche, e principalmente, Spirito in forza del battesimo .

Per raggiungere  questa “stabilità” del cuore è necessario la lotta spirituale. Il combattimento tra lo Spirito e il demonio è il cuore. E’ nel cuore che il nemico getta il “grano cattivo”. Di conseguenza, non bisogna mai abbandonarsi al sonno, non bisogna mai chiudere gli occhi dello spirito. La vita naturale ha un tempo riservato al sonno, ma la vita dello spirito non ne ha, e bisogna sempre stare in stato di allerta, ed essere vigilanti.

Il primo effetto della vigilanza è di vegliare che qualsiasi elemento distruttore non venga dall’esterno per istallarsi nel cuore.

L’arte di conservare il “paradiso del cuore” nello stato  di innocenza e di felicità consiste quindi nel troncare ed estirpare sin dal primo istante ogni suggestione del nemico.

In questo senso è fondamentale la “preghiera del cuore”. Essa è considerata infattiuno stato ideale sia per i santi orientali che per gli occidentali. La moderna società tecnologica la comprende difficilmente. L’uomo di oggi cerca, per tutto ciò che accade, una causa esterna. Chi ci insegnerà oggi, di nuovo, ad ascoltare le “voci interiori” che parlano dentro di noi? Coloro che praticano la «preghiera del cuore»ci introducono all’interno di questa arte.

La preghiera del cuore è un’attività umana irraggiungibile con i concetti scientifici che sono alla base della nostra civiltà, ma nello stesso tempo attira ed affascina perché qualcosa di nascosto.

Teofane il Recluso, autore russo classico della spiritualità, parte dal fondamento antropologico che l’uomo partecipa interamente all’atto della preghiera. Secondo la tradizione orientale, elementi essenziali sono il corpo, l’anima e lo Spirito Santo. Ma il ruolo decisivo nella preghiera spetta all’anima, all’interno della quale distingue tre facoltà: intelletto, volontà, cuore.

La preghiera attiva è quella che si realizza su decisione della volontà. Ma la più perfetta è quella in cui predominano i «sentimenti del cuore»[6] ovvero le “intuizioni del cuore”

Un altro momento di unione col Signore è nella “contemplazione”. Un ricordo continuo di Dio, come sostengono i Padri della Chiesa, che per i cristiani dovrà divenire abituale come respirare. Un desiderio di piacere a Dio, sempre presente e sempre attivo in ogni atto umano. Questo anche perché bisogna prendere atto che “l’anima del mondo” è lo Spirito Santo che entra in ogni situazione. L’uomo ricorderà la presenza costante di Dio nella sua vita osservando la bellezza del cosmo, l’unità del mondo se segue Dio, in comunione con lo Spirito Santo. Il cosmo “obbedisce alla parola di Dio” e Dio “veglia” sulle proprie creature e provvede al loro bisogni. C’è una Provvidenza cosmica e incentrata direttamente sull’uomo.

La Provvidenza si identifica con “quell’azione di Dio” che nella letteratura cristiana prende il nome di oikonomia. Giovanni Crisostomo impiega tali tecniche per descrivere il comportamento prevalente dell’uomo, che prima di agire considera le circostanze. E questo è anche il disegno di Dio sull’uomo, che procede verso un fine che è la salvezza e la gloria. Secondo gli autori spirituali, questo modo nei Padri della Chiesa di concepire la Divina Provvidenza presente nel mondo e nel creato, mette già le basi alla scienza del “discernimento spirituale”.

L’universo infatti è per S. Basilio il “territorio” di Dio-Padre e nulla resta escluso dalla Provvidenza di Dio, nulla sfugge alle sue cure. Il suo occhio “vede tutto e non dorme”, la sua Provvidenza è generale perché implica tutto l’universo e nello stesso tempo «particolare», in quanto  la “provvidenza  universale” non implica che essa sia la stessa per tutti gli esseri. C’è una Provvidenza particolare per coloro che ne sono «degni», accanto a quella comune che guida il mondo. Quando arriveranno le sofferenze, che metteranno alla prova questa bella fede nella Provvidenza universale, il cristiano darà testimonianza della sua virtù[7].

[1] Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, 1967.

[2] Admonitiones, XVI, n. 165.

[3] Pseudo Macario, De Caritate, p. 24

[4] Thomas Spidlik, La Spiritualità dell’Oriente cristiano, p. 312-313.

[5] Teofane il Recluso, Put’,305Mosca , p. 400

[6] Teofane il Recluso, Lo Spirito ed il cuore, p. 142-146

[7] Thomas Spidlik, La Spiritualità dell’Oriente cristiano, p. 123-126.