Pensiero Teologico

B. Guarrera, una Chiesa che “respira a due polmoni” (in collaborazione con F. Nardin), in RomaGiornale.it, Roma 2013

Era il 1054 quando si consumò la scissione tra la Chiesa d’ Occidente e quella d’ Oriente. E’ una ferita che, dopo un millennio di storia, ancora non si è rimarginata. Grandi passi avanti, però, sono stati fatti dal Concilio Ecumenico Vaticano II in poi.

“Non si può respirare come cristiani, direi di più, come cattolici, con un solo polmone; bisogna aver due polmoni, cioè quello orientale e quello occidentale”, sosteneva Giovanni Paolo II, citando Vjaceslav Ivanov, poeta, filosofo e filologo russo. Con questa metafora, il Papa voleva indicare le due anime della Chiesa, unita e riconciliata solo con il ricongiungimento con l’ Oriente.

Il grande intellettuale e teologo,il Cardinale Thomas Spidlik è stato uno dei massimi conoscitori della spiritualità dell’Oriente cristiano. Il padre gesuita, originario della Repubblica Ceca, ha cercato in tutte le sue pubblicazioni di scavare nella teologia orientale e di spianare la strada ad un terreno condivisibile dall’ Occidente. E’ evidente, in ognuno dei suoi scritti, il contributo che può dare la spiritualità orientale ad una Chiesa che respira “a due polmoni”.

Il cattolico e l’ ortodosso hanno entrambi un comune interrogativo: come vivere la fede nel mondo? Bisogna stare nel mondo o “fuggire” dal mondo? Su questo, tanto hanno detto i padri orientali.

I primi Padri della Chiesa mostravano una grande ammirazione per il kòsmos, il mondo creato da Dio, il mondo che è dominio di Dio e che Dio regge con la sua Provvidenza. “Bella, armoniosa, la creazione. E Dio l’ ha fatta unicamente per te- scriveva San Giovanni Crisostomo-. L’ ha fatta bella, ricca, capace di soddisfare i tuoi bisogni, di nutrire il corpo e persino di sviluppare la vita dell’ anima, conducendola verso la conoscenza di lui stesso. E tutto questo per te”.

Un cristiano autentico come deve rapportarsi con il mondo? S. Basilio- vescovo di Cesarea e Dottore della Chiesa- scriveva nelle sue regole monastiche: “Chi non si rende conto che l’ uomo è un essere sociale mansueto, e non è quindi fatto per la vita solitaria e selvaggia? Nulla è più conforme alla nostra natura che avere contatti continui, cercarsi a vicenda e amare i propri simili”. Invece, l’ amico più intimo di Basilio, Gregorio Nazianzeno- teologo e vescovo di Costantinopoli, Dottore e Padre della Chiesa-  considerava “divinizzante” la vita nel deserto, la vita  privata di ogni contatto umano e persino degli aspetti di bellezza. Si tratta proprio della “fuga dal mondo” predicata dai monaci con tanta insistenza.

L’ esperienza spirituale del monachesimo cristiano si sviluppa in Egitto tra fine III e inizio IV secolo. Il grande teologo dell’ Asia Minore Evagrio Pontico spiega l’ ideale monastico giocando con la stessa parola di monaco. Il termine viene da mònos, solo. Non è la solitudine di chi è abbandonato da tutti, ma è la solitudine di chi vuole unirsi a Dio, senza che si frapponga nessun ostacolo. Gli antichi saggi cercavano la solitudine per poter filosofare. La fuga nel deserto degli antichi monaci cristiani, invece, ha un altro scopo: la preghiera, il ricordo, il pensiero costante di Dio. In Dio il monaco ritrova la pienezza dell’ unione con tutto e tutti. Mònos pro mònon, solo per Dio solo- dice già Plotino laconicamente e ripetono poi, dopo di lui, i monaci cristiani.

La solitudine cristiana suppone quindi un ardente desiderio di staccarsi da tutto ciò che costituirebbe un ostacolo all’ amore di Dio. E il nome comune di tutti questi ostacoli è “mondo”. Ma anche nella solitudine più ardua alcuni monaci si sentivano accompagnati da fantasie e sollecitazioni inutili. Sono quindi anch’ esse il “mondo” che impedisce di ascoltare la dolce voce divina. “Tutto ciò che turba viene dal diavolo”, dicono spesso i monaci. L’ Abate Isaia, uno dei Padri del deserto, definisce perciò il mondo come “l’ attrazione dell’ anima verso il peccato”.

Per questo il cristiano che vuole salvarsi- monaco o no- deve praticare questa “fuga dal mondo”, anche metaforica. Non è stanchezza della vita, ma l’ obbligo imposto dal vangelo stesso ad ogni cristiano. Nel capitolo quindici di Giovanni si legge, infatti, : “Se voi apparteneste al mondo, il mondo vi amerebbe come suoi. Invece voi non appartenete al mondo, perché io vi ho scelti e strappati dal potere del mondo. Perciò il mondo vi odia”.  La mente umana è stata creata per contemplare il suo Creatore: deve quindi elevarsi verso di lui senza interruzione.

(Scritto con il contributo di Don Franco Nardin, studioso del teologo T. Spidlik, missionario itinerante e attualmente cappellano dell’ ospedale Sant’ Andrea di Roma)